La terapia cognitivo-comportamentale si basa su alcuni assunti centrali, primo fra i quali che non sono gli eventi/le cose/le situazioni in sé a crearci problemi, ma i significati che diamo loro [ancora una volta, i pensieri che noi sperimentiamo in relazione ad essi].
Non è dunque l’oggetto reale a disturbarci, ma il modo in cui lo interpretiamo.
Lo stesso cane, accovacciato nel centro di una stanza vuota, può apparire come un tenero cucciolone all’osservatore A, amante dei cani e cresciuto fra animali di vario genere, e come una pericolosa bestia all’osservatore B, persona con la fobia per gli animali e scarse abilità nel differenziare fra razze, età ecc.
Molto probabilmente, l’osservatore B penserà: “Se entro nella stanza quella bestia mi morderà”. Come risultato di questo pensiero, e del fatto di reputarlo credibile e attendibile, rimarrà fuori dalla stanzaassicurandosi che la porta rimanga ben chiusa. Sempre più probabilmente sarà convinto, così facendo, di essersi evitato un attacco di fobia e un morso sicuro; in realtà, comportandosi in questo modo, si sta precludendo la possibilità di verificare che la sua predizione, percepita come sicura, è in realtà errata.
Entrando nella stanza avrebbe certamente avuto una discreta paura, si sarebbe trovato a disagio nei confronti delle manifestazioni di affetto del cane, ma avrebbe potuto verificare che non solo l’animale non voleva morderlo, era al contrario solo intenzionato a giocare. Invece è rimasto fuori della porta, pensando a quanto sono aggressivi e pericolosi gli animali e a quante vittime di cani si sono registrate negli anni passati… finendo così per sentirsi ancora più a disagio e in tensione al pensiero della pericolosa bestia al di là della porta.
Sia che l’osservatore B fosse andato incontro a una crisi fobica, sia che fosse riuscito ad affrontare la paura facendo un accenno di carezza al cane prima di uscire frettolosamente, è evidente che entrare nella stanza gli avrebbe permesso di smentire le premesse da cui partiva, invalidando la sua teoria che “Tutti i Cani Mordono”. La conseguenza è che non entrare, e non poter verificare che la sua predizione potrebbe essere sbagliata, finisce paradossalmente per rafforzare quella stessa teoria e le previsioni che produce: l’osservatore B si allontanerà dalla stanza stressato dall’esistenza dei cani e la prossima volta che ne incontrerà uno sarà ancor più spaventato e prevenuto.
Pensare, provare sentimenti e comportarsi secondo questi meccanismi dà spesso avvio a circoli viziosi pericolosi, da cui è difficile uscire. Imparare a riconoscerli, analizzarne il funzionamento e individuare modalità alternative di reazione è uno degli obiettivi terapeutici della terapia cognitivo-comportamentale.
Secondo Beck, questi meccanismi di pensiero vengono appresi durante l’infanzia, e con il passare del tempo divengono automatici e tendenzialmente rigidi: appaiono a chi li sperimenta come corretti, logici e immodificabili, e dunque non proverà nemmeno – se non stimolato dall’esterno – a modificarli.
In realtà, i pensieri automatici negativi possono essere definiti come vere e proprie distorsioni cognitive, che vengono percepite come logiche e coerenti solo perché ripetute così a lungo da essere divenute, appunto, automatiche, e che influenzano negativamente il modo di sentire e comportarsi delle persone.
Per visualizzare un elenco descrittivo dei più frequenti pensieri automatici negativi, cliccare qui
Per fare un esempio, un bambino che non riceve molte dimostrazioni d’affetto dai genitori, ma che viene apertamente lodato per i suoi successi scolastici, probabilmente finirà per pensare “Devo sempre essere bravo, altrimenti nessuno mi vorrà bene”. Benché si tratti di un pensiero disfunzionale [di una Ipergeneralizzazione, in particolare], questa sorta di regola interna probabilmente porterà il bambino, e successivamente l’adulto, a diventare particolarmente efficiente e grande lavoratore; se qualcosa andasse storto in questo senso, però, la stessa persona potrebbe sviluppare pensieri automatici come “Sbaglio sempre, sono un completo fallimento, per questo nessuno mi ama” [Ipergeneralizzazione] o “Se sbaglio anche una sola volta verrò rifiutato da tutti” [Pensiero dicotomico].
Il terapeuta cognitivo-comportamentale aiuta i pazienti a capire quali meccanismi stanno mettendo in atto, dove li hanno appresi e perché hanno cominciato a utilizzarli, in quale misura sono funzionali e adattivi e in quale invece di ostacolo al loro benessere e alla loro crescita, sostenendoli nella ricerca di strategie di pensiero alternative e più appropriate alla loro situazione.
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