In primo luogo, l’approccio cognitivo-comportamentale non utilizza il lettino, come succede in varie forme di psicoanalisi, con il paziente disteso che guarda davanti a sé e il terapeuta alle sue spalle; in questo approccio psicoterapeuta e cliente parlano guardandosi negli occhi, e per questo sono seduti uno di fronte all’altro (su sedie spesso separate da una scrivania, ma anche su poltroncine disposte come in un salotto).
Il ricorso alla scrivania, lungi dal voler “allontanare” psicoterapeuta e paziente, riporta alla metaforadella terapia cognitiva come incontro fra Esperti: il paziente come maggior Esperto “mondiale” di se stesso, e il terapeuta come Esperto nel metodo terapeutico cognitivo-comportamentale. Dovendo paziente e terapeuta lavorare insieme, mettendo a confronto e condividendo le informazioni e gli strumenti di cui sono rispettivamente esperti, è quindi comprensibile come il setting più naturale e adeguato sia una scrivania operativa, con due o più sedie ai lati. Non a caso, sulla scrivania di un terapeuta cognitivo-comportamentale sarà frequente trovare penne e fogli a disposizione di entrambi, nel caso si renda utile o necessario fare uno schizzo, sottolineare un concetto, segnarsi un punto cruciale da memorizzare o condividere.
I primi incontri si focalizzano sulla definizione e comprensione dei problemi presentati dal paziente; il terapeuta, per rendere più rapida e approfondita questa prima fase diagnostica, può avvalersi, oltre che del colloquio clinico, di test e strumenti psicodiagnostici.
Al termine della fase di assessment – o di analisi e valutazione del problema, che può durare da uno a tre o quattro incontri – il terapeuta propone al cliente un contratto terapeutico, in cui riassume gli elementi emersi, prospetta le prime ipotesi diagnostiche e propone un progetto terapeutico, corredato da strategie e obiettivi concreti, chiari e plausibili.
Negli incontri successivi professionista e cliente danno inizio all’intervento terapeutico vero e proprio; a differenza che in altri approcci, la relazione terapeutica è simmetrica e basata su un piano di parità e collaborazione: terapeuta e paziente lavorano insieme per comprendere e risolvere i problemi portati dal paziente. Il terapeuta cognitivo-comportamentale chiederà spesso al paziente commenti e feedback su come sta procedendo il lavoro terapeutico, così come attenderà che il paziente validi le ipotesi terapeutiche proposte, prima di considerarle effettive: l’approccio cognitivo-comportamentale non prevede infatti la possibilità che il terapeuta possa convalidare o imporre teorie sul funzionamento mentale del paziente, che il paziente stesso non riconosca valide o non condivida – come invece succede nell’approccio psicoanalitico, secondo cui se un paziente rifiuta l’interpretazione dell’analista, quasi certamente si sta difendendo e deve quindi accettare tale interpretazione a prescindere.
Gli incontri terapeutici – solitamente a cadenza settimanale, della durata di circa 50/60 minuti – hanno una struttura precisa, a differenza di molti altri approcci, in cui i pazienti sono invitati a parlare liberamente di qualsiasi cosa passa loro per la testa.
L’incontro inizia generalmente con un breve rapporto da parte del paziente su come è trascorso l’intervallo tra una seduta e l’altra: se si sono verificati miglioramenti o peggioramenti, se sono accaduti eventi significativi, se è stato possibile fare i compiti assegnati nell’incontro precedente e i relativi risultati. Dopo una breve discussione sui compiti effettuati, psicoterapeuta e paziente riprendono il programma di lavoro interrotto nella seduta precedente, in linea con gli obiettivi terapeutici individuati e concordati all’inizio della terapia. Al termine della seduta il terapeuta opera un breve riassunto degli elementi significativi emersi e assegna al paziente un altro compito, correlato ai contenuti emersi nel corso del lavoro appena effettuato, da eseguire nell’intervallo che precede l’incontro successivo.
La struttura appena delineata non è naturalmente da considerarsi rigida o immodificabile – e infatti terapeuta e paziente sono liberi di apporvi variazioni ed eccezioni ogni qualvolta lo riterranno utile per l’evoluzione della terapia; resta cionondimeno un elemento di fondamentale importanza per il progredire del lavoro terapeutico in quanto da una parte aiuta ad utilizzare il tempo a disposizione in maniera più efficace, dall’altra assicura che, coinvolti dal flusso di emotività che spesso permea le sedute, non vengano tralasciati elementi importanti e significativi.
Le sedute di terapia cognitivo-comportamentale prevedono inoltre l’illustrazione da parte del terapeuta del modello terapeutico e la spiegazione delle basi teoriche sottostanti a ogni intervento effettuato. Questo tipo di interazione educativa tra terapeuta e paziente ha l’obiettivo di trasmettere ai pazienti gli elementi centrali del procedimento terapeutico in atto, in modo da far loro acquisire un metodo per affrontare eventuali problemi futuri.
L’approccio cognitivo-comportamentale non si propone quindi unicamente l’obiettivo di aiutare i pazientia superare i problemi per cui hanno richiesto una terapia, ma si prefigge di trasmettere e insegnare loro le basi del processo terapeutico in modo che, una volta conclusa la psicoterapia, abbiano a disposizione strumenti e linee guida per affrontare eventuali ostacoli o ricadute.
Sul finire della terapia, quando saranno stati raggiunti gli obiettivi terapeutici prefissati e il paziente comincerà a sentirsi meglio, le sedute potranno essere diradate nel tempo (inizialmente a cadenza quindicinale, poi mensile) fino alla conclusione. Terapeuta e paziente stabiliranno quindi se avvalersi di sedute di verifica – o follow-up – dei risultati raggiunti, a cadenza di qualche mese dalla conclusione della terapia.
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